Il computer che inquina

Il legame tra ambiente e informatica è più complesso e ambiguo di quanto non sembri. Da un lato c’è un rapporto stretto e reciprocamente amichevole, simboleggiato dalle reti dei siti verdi e da tutte quelle battaglie per una maggiore consapevolezza sulle tematiche ambientali che vengono combattute con efficacia nella Internet dei social network e dei blog (si pensi già solo all’opera di sensibilizzazione di Beppe Grillo). Il Web è lo strumento perfetto per far sentire la propria voce e diffondere campagne e iniziative, anche quando declinate in senso satirico e parodistico, come dimostra il successo online del brano Quanta gioia quanta monnezza e del cortometraggio Io sono molto leggenda, entrambi ispirati all’emergenza rifiuti di Napoli.

Dall’altro, i computer e l’information technology stanno rapidamente diventando una delle maggiori fonti di inquinamento del ventunesimo secolo: sia sul fronte del consumo energetico che dello smaltimento dei rifiuti. I computer succhiano una quantità notevole di energia e contribuiscono all’emissione di tonnellate di anidride carbonica. Inoltre, complice anche un ciclo di vita dei prodotti sempre più ridotto, ogni anno milioni di pc, periferiche, cartucce per stampanti, telefonini e altri gadget (spesso costruiti con materiali altamente inquinanti) vengono dismessi e gettati nella spazzatura (e a volte spediti in qualche paese in via di sviluppo trasformato in una lussuosa discarica high tech).

Il problema non è più un segreto per pochi. Da anni Greenpeace stila una classifica di (de)merito delle aziende informatiche più inquinanti. Nell’ultima versione, pubblicata a dicembre, il pollice verde (in tutti i sensi) viene attribuito a SonyEricsson, Samsung, Sony, Dell e Lenovo. Pollice invece rigorosamente rosso e critiche assortite per Sharp, Microsoft, Philips e Nintendo. Va un po’ meglio rispetto al passato Apple, a cui Greenpeace dedica però un sito ad hoc per sensibilizzarla ai problemi dell’ambiente: Green My Apple.

Le aziende produttrici non sono tuttavia le uniche responsabili dell’inquinamento legato all’IT. Ci siamo anche noi, gli utenti. “Una nostra indagine”, spiega Massimiliano Tedeschi, amministratore delegato di Lexmark Italia, società attiva nel settore delle stampanti, “ha rivelato che il maggiore impatto ambientale in relazione al mondo printing non è generato dalle fasi di produzione e distribuzione, ma è connesso alla fase di utilizzo da parte del consumatore finale. Per esempio nel consumo della carta: se venissero impilate tutte quelle pagine che vengono stampate negli uffici senza mai essere toccate, riusciremmo a coprire due volte la distanza dal Nord al Sud del nostro paese”.

L’informatizzazione della società avrebbe dovuto portarci verso un mondo senza carta? Evidentemente, così non è stato. “Bisogna imparare a stampare in modo consapevole”, dice Tedeschi, “seguendo degli accorgimenti piuttosto semplici, come l’utilizzo fronte-retro dei fogli di carta o il controllo dell’anteprima di stampa per essere sicuri di stampare il documento corretto. Piccoli cambiamenti che possono contribuire a risparmiare sia in termini economici che di impatto ambientale. Se un’azienda di cinquanta persone si mettesse a stampare in modo “intelligente”, si arriverebbe a una riduzione di emissione di anidride carbonica pari a quella di un’auto che fa il giro del mondo”.

Il parallelo con le automobili funziona molto bene e viene citato anche da Alberto Bullani, country manager di VMWare. “Noi ci occupiamo di virtualizzazione”, spiega Bullani, “cioè della trasformazione di un server fisico in un software, un server virtuale. Oggi i computer vengono sottoutilizzati, si spreca un sacco di potenza, magari ci sono dieci server in un’azienda quando ne basterebbe uno. Noi gestiamo questo passaggio, lasciando l’impressione all’utente finale che non sia cambiato niente, che abbia ancora a disposizione dieci server. Invece ce n’è solo più uno, che però viene sfruttato al cento per cento”.

                          Le automobili, dicevamo. “In un anno un server produce circa quattro tonnellate di anidride carbonica, pari a quelle immesse nell’aria da una automobile e mezza. La riduzione dell’inquinamento grazie alla virtualizzazione è evidente. Se tu riesci a portare i server di un’azienda da cento a dieci, è come se togliessi quasi centocinquanta veicoli dalla strada. Moltiplica per il numero di aziende presenti nel nostro paese e si arriva a numeri impressionanti. D’altronde ormai l’industria informatica è una delle più inquinanti al mondo”.

Non è però solo lo spirito ambientalista che dovrebbe spingere ad adottare politiche di consumo informatico più intelligenti. “Sarebbe una bugia se dicessi che VMWare è nata per salvare l’ambiente”, ammette Bullani. “Dietro ovviamente c’è anche un discorso di profitto. Ed è proprio quello che dovrebbe spingere le aziende, sia piccole che grandi, a muoversi. Riducendo il numero dei server con la virtualizzazione, il risparmio economico è ingente: si può semplificare la gestione, ridurre gli spazi dei data center, spendere meno in manutenzione e in consumo energetico. Si migliora la qualità dell’ambiente e si tagliano un sacco di spese”.

Questo per i consumi. E per i rifiuti? Anche in quel campo si può fare di più. “Nel settore delle stampanti”, dice Tedeschi di Lexmark, “un problema piuttosto grosso è quello delle cartucce esauste. Ne vengono consumate alcune decine di milioni all’anno e sono considerate un rifiuto speciale, non pericoloso ma inquinante. Noi abbiamo adottato una serie di iniziative sia per le aziende che per i singoli utenti. Non possiamo permetterci di raccoglierle porta a porta, ma almeno possiamo indicare agli utenti, tramite il sito Internet, i più vicini centri di raccolta. Negli altri paesi europei inseriamo nella confezione delle cartucce una busta preaffrancata, da utilizzare per spedire indietro la cartuccia vuota. Peccato che questa regola non valga per l’Italia, perché le poste non sono autorizzate a raccogliere i rifiuti speciali. E’ l’unico paese in Europa che ha questa limitazione”.

di LUCA CASTELLI per www.lastampa.it

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